La
storia dei brevetti nel nostro paese è complessa, e vanta nobili origini. Il 19
marzo 1474, nella Repubblica di Venezia, venne proposto lo Statuto dei brevetti, appoggiato da queste parole: «Abbiamo fra noi
uomini di grande ingegno, atti ad inventare e scoprire dispositivi ingegnosi:
ed è in vista della grandezza e della virtù della nostra città che cercheremo
di far arrivare qui sempre più uomini di tale specie ogni giorno». Lo statuto
fu approvato: 116 voti favorevoli, 10 contrari e 3 astenuti.
Per
avere una più stabile regolamentazione dei brevetti bisogna però attendere la
istituzione delle grandi accademie “reali” delle scienze, in Inghilterra la Royal Society (1662) e a Parigi
l’Académie Royale des Sciences (1666) dove la vigilanza sull’innovazione
tecnologica e sulle “invenzioni” divenne finalmente un “affare pubblico” e
l’approvazione delle “machines et inventions” fu gestita da apposite
commissioni di scienziati. Anche l’Accademia delle Scienze di Torino nata un
secolo più tardi, fu attenta sin dalle sue origini a «procurare qualche reale
vantaggio alla Comune Società», nominando apposite commissioni di valutazione
delle invenzioni ma solo dopo la parentesi del “periodo francese” nel 1815 si iniziò
nuovamente e con maggiore sistematicità ad analizzare le invenzioni e a valutarne
l’importanza strategica «per lo sviluppo delle arti e delle industrie». Ma i
tempi correvano. La rivoluzione industriale, e con essa uno sviluppo importante
delle nuove tecnologie, arrivò anche in Italia. Nel 1855 Camillo Benso conte di
Cavour, vista l’evoluzione della realtà economica e industriale del paese, e
soprattutto capita la reale difficoltà di entrare nel merito di una valutazione
effettiva della singola invenzione, promulgò una nuova legge sulle privative
industriali. Intanto le industrie si moltiplicavano, le esposizioni dei nuovi
“prodotti” si facevano sempre più internazionali, e la competizione nata intorno
all’innovazione sempre più dura. Brevettare in Italia, insomma, era necessario,
ma con l’allargamento dei mercati si sentì sempre più l’esigenza di brevettare anche
all’estero: in Francia, in Inghilterra, in Germania e negli Stati Uniti d’America.
Visti i costi maggiori, i brevetti all’estero diventano così frutto di una
scelta che premia, per molti versi la loro qualità e così la scelta di
analizzare le presenze di italiani in questo deposito di oltre sette milioni di
patent può diventare al tempo stesso
una sfida ma anche un nuovo modo di fare storia
Il
primo United States Patent Act, datato 1790, è un documento costituito da solo
sette paragrafi (An Act to Promote the
Progress of Useful Arts), in virtù del quale il secretary of state, il secretary
of war e l’attorney general erano investiti dell’autorità di
concedere «grant patents» per un
periodo sino a 14 anni per le invenzioni che risultassero «sufficiently useful and important», posto che l’inventore
presentasse un documento descrittivo del trovato al secretary of state. Il 31 luglio 1790 Samuel Hopkins depositò il
primo patent per un processo di produzione della potassa, allora usata come
fertilizzante. Il brevetto fu firmato dal presidente George Washington.
Nel
1793 il primo Act fu rinnovato da Thomas Jefferson, allora secretary of state, e questo Act definì la materia in maniera così
precisa che i suoi principi sono attuali ancora oggi. I patent potevano però essere
rilasciati solo ai cittadini degli Stati Uniti; solo nel 1800 si aggiunse un
emendamento con cui si permetteva l’accesso al patent office anche agli
stranieri che risiedessero negli Stati Uniti da almeno due anni, e solo nel 1832
con un nuovo Act si allargò la categoria dei richiedenti stranieri che
dichiarassero l’intenzione di diventare «citizens
of the United States». Infine, nel 1836, un nuovo Act rimosse tutte le
limitazioni alla nazionalità di appartenenza, mantenendo comunque un elemento
discriminante: la tassa da depositare per la richiesta di brevetto era di 30
dollari per i cittadini statunitensi, di 500 dollari per i sudditi dell’impero britannico
e di 300 dollari per tutti gli altri.
Ma è
necessario lasciare scorrere ancora alcuni anni per arrivare a quello che
presumibilmente è il primo brevetto depositato in America da un italiano: il 7
ottobre del 1851 venne concesso il patent n. 8417, che inaugura la raccolta di brevetti presenti sul volume 150 (anni di) invenzioni italiane. L’inventore di una strana locomotiva mossa da alcuni cavalli che
camminavano su una sorta di tapis roulant era tal Clemente Masserano, che
compariva nel testo come «of Turin, France, a subject of the King of Sardinia».
Lingua ufficiale del Regno di Sardegna oltre all’italiano era anche il
francese, parlato in Savoia.
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